L’anomalia palermitana

41) Cose di Cosa Nostra (Giovanni Falcone con Marcelle Padovani, 1991, pag. 192): Io me lo ricordo quel giorno, quel maledetto sabato 23.05.1992. Avevo 17 anni e davanti alle immagini televisive provenienti da Capaci, rimasi incredulo, sbigottito, spaventato. Com’era possibile che si riuscisse a compiere un atto di violenza, di guerra – direi -, contro un magistrato e la sua scorta, in maniera così eclatante? Esattamente dopo 25 anni da quel giorno, il 23 Maggio scorso, mi sono ritrovato in una scuola media: l’idea che quei ragazzi che vedevo di fronte a me non sapessero (ancora?) quello che si commemorava in quel soleggiato giorno di Maggio, mi ha portato a sentire un forte bisogno, dentro di me, di dover leggere le parole scritte dal giudice Falcone. Di dover conoscere. Approfondire. E ho trovato parole semplici, lucide e cristalline nel descrivere “il terreno di coltura di Cosa Nostra”, il Potere e i Poteri dell’organizzazione criminale denominata mafia.

Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l’eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.

Il libro si conclude con un presagio che mi ha lasciato il gelo addosso. Lo sapeva. L’ha sempre saputo, perché a volte aveva “[…] più paura dello Stato che della mafia.

Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. […] In Sicilia, la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.

Voto 8,5.

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