La nostra filosofia

Correre è una filosofia. Perché si corre (Gaia De Pascale, 2014, pagg. 175-177).

Libro consigliatissimo, a chi (e non solo) ha questa malattia: la corsa.

Si corre:
– per dimostrare il proprio valore, come gli dèi e gli eroi greci, come i molti che, giorno dopo giorno, ingaggiano la propria battaglia per correggere le storture del destino;
– per recuperare la propria infanzia, sempre alla ricerca del tempo perduto, di un’oasi di purezza alla quale tendere, senza accontentarsi di guardarla con nostalgia;
– per agguantare la propria libertà: oltre i vincoli sociali, culturali, oltre alle sbarre di qualsiasi prigione, mentale o reale, fisica o emotiva;
– per dare più senso alla propria vita, o per costruirsene una diversa, fatta a propria immagine e somiglianza;
– per provare emozioni, sempre più intense, sempre più vere;
– perché si è un po’ folli e perché si cerca, nel caos contemporaneo, di trovare il proprio scampolo di solitudine;
– per migliorare la propri salute e per prendere lezioni di verità dal proprio corpo;
– per provare dolore e per imparare ad accettarlo, in un costante esercizio di determinazione, fino a diventare abbastanza resilienti da far fronte a qualunque ostacolo esistenziale;
– per spogliarsi dei condizionamenti e fare qualcosa solo per sé, qualcosa che valga solo nel momento in cui si compie, nel qui e ora del suo svolgimento, e che racchiuda in questo presente di fatica e sudore il senso di tutto il passato e di tutto il futuro;
– perché si è competitivi;
– perché si ama la natura;
– perché si sente l’esigenza di immergersi nel paesaggio;
– per scappare dalla povertà;
– per affrontare incubi e paure.

E l’elenco potrebbe continuare.

Si dice che avere troppe possibilità equivalga a non averne nessuna. Lo stesso ragionamento è valido per le motivazioni: averne un numero così ampio significa, di fatto, non averne. I racconti dei corridori sono accomunati da un dato: alla domanda «Perché corri? » nessuno è in grado di fornirne una risposta precisa. Qualcuno azzarda un’ipotesi banale, qualcun altro non risponde, i più affermano la loro semplice verità: «Perché mi piace».
È tutto qui. Si corre perché correre piace. Perché correre rende felici. La felicità del niente, che si srotola in un tempo suo proprio, al di là del lavoro, del tempo libero, delle tabelle di marcia dell’efficienza. La felicità del non avere nessuna risposta per una domanda, del non saper giustificare quello che si sta facendo. Silenzio come opposizione alle parole d’ordine, spontaneità del gesto come schermo all’artificio che ci governa quotidianamente. Fuori della corsa ogni cosa ha la sua funzione, il suo nome, la sua spiegazione. Dentro la corsa risplende la beatitudine della parola non detta, l’ammutolirsi della lingua nel suo essere fuori posto, fuori tempo. Eccola qui, la felicità della corsa, il gusto di un gesto senza senso, che non produce niente, che non serve a niente.
Nemmeno il traguardo conta. Nemmeno il risultato.
Un’attività che si bea dei suoi aspetti estremi, che ostenta il suo essere “fuori norma”, che viaggia sulle ali dell’effimero: partire anche se si sa che non si arriverà mai primi, fare qualcosa di grandioso senza lasciare traccia.
Ci hanno provato, runner di vari livelli, a dare una spiegazione a tutto questo: il loro silenzio resta la risposta migliore.
Volendo proprio scegliere delle parole e farle assurgere a manifesto di quanto raccontato in queste pagine, sceglierei queste di Kílian Jornet, che con una semplice frase dice tutto quello che c’è da dire: «Non è più forte colui che arriva primo, bensì colui che gode maggiormente facendo ciò che fa».
Vince chi gode di più.

In fondo, quale felicità più grande si potrebbe rincorrere?

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Roma caput mundi

MARATHON 2016
27) 10.04.2016 – XXII MARATONA DI ROMA – 3h29’15”

Li capisco, gli stranieri giunti nella Capitale. Vengono in tanti nella città eterna desiderosi di affrontare la distanza nel più bel teatro del mondo, fatto di storia, arte e antichità. La partenza con il Colosseo alle spalle dà i brividi e la carica al tempo stesso, e il passaggio accanto al Cupolone, è da cartolina di saluti.

La gara: e chi l’avrebbe mai detto che avrei corso accanto ad una leggenda del nostro sport? All’inizio, quando l’ho vista al rifornimento del 5° km, non credevo potesse essere vero che fosse lei, i dubbi mi attanagliavano. Ma quel passo, il tipo di tecnica di corsa, quella coda di cavallo oscillante, color biondo paglierino, l’immancabile fascia che le circodava la fronte, mi facevano ben sperare che fosse proprio lei. Con la stessa andatura per restar sotto le 3h30′ (andatura a 4’50″/km), mi sono accodato al suo gruppo e subito mi son detto: se è lei, arrivo al traguardo con una campionessa; ma sai che bello vedere le foto, sulla finish line lungo i Fori Imperiali, con una fantastica atleta? Sto parlando della vincitrice della Maratona di New York del 1998 (2:25:17, record italiano)(lo stesso anno vinse anche Roma in 2:28.12).

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Con i tre ragazzi di Capitanata

MARATHON 2016
26) 03.04.2016 – XL PARIS MARATHON – 3h23’59”

Un’immensa periferia, due ore per raggiungere l’hotel dall’aeroporto CDG, e da lontano l’immediata vista del lungo asparago di metallo che la veglia. Una discreta militarizzazione lungo le vie di comunicazione della metro e di fronte ai luoghi più noti (Notre-Dame, per primo). Messaggi in più lingue per fare attenzione ad eventuali bagagli incustoditi. È la città di Parigi a presentarsi così, nella veste di chi ha dovuto, velocemente, abituarsi ad un neo modus vivendi, senza rinunziare alle libertà fondanti. Dopo la violenza. Città vecchia, Parigi, non antica: ti appare così, al primo sguardo. Città che ne ha viste molte, tra Rivoluzioni e la Grandeur de France. Ma con un cielo grigio, su, che la imbruttisce parecchio. Si pensa subito, senza pericolo di smentita: come tutti i fiumi anche la Senna è davvero un cesso. Proprio come il (fu biondo) Tevere. E con una sola colonna sonora da canticchiare lungo la Vie En Rose: Paname.

A Paname, a Paname
Grognards et grenadiers sont fous de moi
A Paname, Paname
Pendant la nuit des revolutionaires
N’oubliez pas, n’oubliez pas

Sono passati giusto 10 anni da quando il socio mi deliziava, recandosi negli stessi luoghi, della Top e della Flop Ten di Parigi. Altri tempi gloriosi.

Sono arrivato al traguardo non troppo messo male e in un tempo che può considerarsi soddisfacente (3h23’59”): visti i diversi saliscendi, i sottopassi e i due BOIS da attraversare (de Vincennes e de Boulogne), per non essere giunto al traguardo in un lago di dolore è già stato un successo. Senza allenamenti specifici, non si può chiedere nulla di più. Ma il merito di tutto ciò va senza alcun dubbio ai tre ragazzi di Capitanata (Luigi, Nunzio e Ivano): incontrati all’undicesimo km, mi sono agganciato a loro senza mai lasciarli, metronomi umani impostati sul passo cadenzato dei 4’40″/km – 4’50″/km. Se non ci fossero stati loro – lo so – avrei tirato come un forsennato, e sarei imploso miseramente ai 30 km.
Di questo, ne sono certo.
Grazie, ragazzi.

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