L’ultimo dell’anno

E’ andata. Ho terminato, giustappunto oggi, un rapido trasloco. Sono fuori, in maniera definitiva, dal mio vecchio appartamento. Cambio casa. Nessuna emozione nel lasciare i muri che mi hanno tenuto compagnia per più di un anno. L’unico pensiero, mentre riempivo scatole e buste, è che adesso avrò più spazio per me (discreto vantaggio) ma, sospetto, ancora meno tempo per poterla frequentare, dovendo lavorare spesso in trasferta (inevitabile svantaggio). Ma tant’è.

Insomma: nuovo anno, nuova dimora.

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Un giorno in tribunale

Prima di ieri, non ero mai stato in un’aula di un tribunale anche se in passato ci sono andato molto vicino (ma questo è un altro discorso). Una volta all’interno della grande sala, non ho resistito: approfittando dell’assenza di tutti gli attori (perché quelli sono degli attori, vero?) che quotidianamente occupano i banchi dell’aula, mi sono accomodato. Ho preso posto. Prima dalla parte dell’avvocato dell’accusa (presto, raccontava proprio ieri la cronaca, si dirà così). Ma non c’era il microfono per testare la mia voce, per cui ho cambiato subito il lato della visuale. Quindi, sono passato a sedermi sulla sedia che solitamente occupa l’accusato. E lì ho compreso bene il perché, in quella posizione e in quei momenti, la gente che sta lì si agita sempre parecchio. No, non è un fatto di rimorso della propria colpevole coscienza, è che lì, diciamocela questa verità, c’è un problema diverso: la sedia, perdiana, è troppo scomoda, troppo stretta, financo bassa. Per me lo fanno di proposito e lo zio Silvio dovrebbe saperle queste cose e intervenire anche su questo aspetto. Servono più sedie comode per gli imputati. Per esempio, delle belle poltrone senatoriali io ce le vedrei benissimo, ché così uno si esprimerebbe anche meglio senza correre il rischio di mostrarsi indifeso e in una posizione scomoda (quella dell’accusato, per l’appunto). Infine, e come potevo fare altrimenti, sono passato sullo scranno più alto. Bello, imperiale, maestoso, con quell’ampia visuale di fronte che recita senza parola alcuna “chi è che comanda qua dentro, eh?” oppure “Silenzio, o vi sbatto tutti fuori dall’aula!“. Peccato che non io non abbia trovato il tipico martelletto di legno perché due colpi, bene assestati, li avrei dati con allegra giurisprudenza (vuoi mettere il piacere dell’eco in un’ala di tribunale vuota?)

Alla fine del giretto, prima di lasciare l’aula, ho dovuto farlo: ho portato via con me un indelebile ricordo (dite che ci sono i margini per aver commesso un reato?)

P.s.
Dietro consiglio dei miei legali preciso che un tale post non è nato per prendermi giuoco delle istituzioni, ma al contrario per stigmatizzare il fatto che mi facciano lavorare, adesso, anche di sabato mentre tutti gli altri sono a passeggio per le compere legate all’imminente evento.

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Ma non dovevamo vederci più?

Uno aspetta svariati anni per mettere a segno un obiettivo importante nella propria esistenza; poi, però, mentre tutto si compie, non riesce a godere appieno del raggiungimento del proprio traguardo perché, lungo la strada, ha incontrato il solito idiota di turno che gli ha reso, in una parola sola, infernale, la conclusione di un evento che avrebbe dovuto farlo stare meglio.

Meno male che adesso è finita.

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