L’altro giorno mi trovavo alla stazione ferroviaria di Roma Termini. Dovendo aspettare circa un’ora prima di salire sul treno che mi avrebbe riportato a casa, nell’attesa, mi sono trattenuto nella libreria. Ho approfittato, in questo modo, per vedere da vicino e toccare con mano le novità editoriali del momento. In particolare, cercavo
il nuovo libro di
Ian Rankin, ma una volta entrato non ho ricordato più il titolo (comprendendo appieno, in quel momento, quanto sia sconveniente essere dipendente da internet, quando sei lì che non ricordi nulla e non puoi digitare al posto giusto la chiave di ricerca).
Dicevo, ero in libreria, cercavo un libro e non avevo nessuna voglia di chiedere aiuto per ricordarmi quello
stupido titolo. Desideravo arrivarci da solo. Una volta raggiunto lo scaffale giusto, sono stato colto da distrazione: piuttosto che mettermi alla ricerca dell’ormai subdolo volume, sono stato attratto da un altro testo. Stesso autore ma quest’altro, in ordine di tempo, era precedente a quello che in realtà stavo cercando (e in più in versione economica). Il mio cervello, a quel punto, tant’era bella
la copertina, ha smesso di funzionare e si è come inceppato, lasciando lavorare soltanto gli occhi, abbagliati da tutto quel bianco. Già, proprio così. Neppure le copie del nuovo volume (poi ritrovato) sono state in grado di ricondurmi sulla retta via.
Avevo deciso: volevo quel libro, quella copia, quella copertina bianca. Dopo un’accurata scelta della meno gualcita, l’ho presa, mi sono recato alla cassa, ho pagato ed ero felice, come non mai.
Una volta uscito da lì, però, ho sentito una strana aria intorno a me, non più briosa come pochi istanti prima. Con una fitta alla testa, come se la memoria, dopo un rapido viaggio non so dove, fosse tornata, rientrata in me, ho ricordato – pur tentando di far finta di niente – che io, quel libro, non solo l’avevo già comprato ma financo
letto.